opere di

Mario GOMBOLI, Ottavio MAZZONIS, Sandro CHERCHI, Giacomo SOFFIANTINO, Isidoro COTTINO, Adriano ALLOATI

 

 curata  da Alfredo Centra, Francesco De Caria, Donatella Taverna

 

Il Gioco di specchi è il rimando che si legge come stato d’animo ma anche come avventura formale in quelle opere dei sei artisti presentati che si rifanno a una fonte di ispirazione archeologica.   Gli atteggiamenti scelti sono molto diversi, come è naturale.  Si sono individuate tre sezioni, che sono però tali solo in relazione al riferimento storico: Etrusca che unisce le meditazioni sulla morte e in particolare sulla morte dell’artista di Ottavio Mazzonis e il racconto di una figura di donna angelicata  da amare fuori del tempo di  Mario Gomboli. Entrambi gli artisti, sebbene con esiti formalmente lontanissimi fra loro, scelgono come spunto archeologico una necropoli etrusca, Sovana per Mazzonis e Vulci per Gomboli.   Prima della scrittura riunisce Sandro Cherchi e l’interesse complesso, antropologico e politico, che egli riserva alle incisioni rupestri, soprattutto alle grandi scoperte di Emanuel Anati in val Camonica, e Giacomo Soffiantino che in una lirica stratificazione risale ai fossili, ai bucrani e alle conchiglie, vita germinale che ci portiamo dentro.   Nella sezione La Grande Dea Isidoro Cottino viene affascinato dal mondo egizio che si rifà ad Iside e dal senso quasi sacrale e sempre emblematico che gli egizi attribuiscono ai materiali dell’arte, mentre Adriano Alloati contempla la sacralità del femminile come principio della vita quale si riflette nella tradizione della scultura classica.

 

Questa mostra rappresenta entro certi limiti una novità nel modo di procedere e di condurre approfondimenti di storia dell’arte attuale proprio delle rassegne precedenti tenutesi nel Collegio.

Infatti la radice  dell’indagine è costituita dall’urgenza attualissima del problema di una identità culturale occidentale che appare in crisi, resa fragile o trasformata in patrimonio di pochi da una concezione eccessivamente pragmatistica della realtà e da una attenzione quasi esclusiva verso gli aspetti economici del vivere.     Sarebbe forse il caso di  citare almeno  due luoghi del Vangelo – “non si può servire a Dio e al denaro” e “guardate i gigli del campo…” con quel che segue -  citazioni purtroppo oggi piuttosto impopolari: tuttavia non si può negare che per vincere la disperazione dei giovani e la paura, un passo fondamentale sia cogliere almeno qualche tratto di quella identità perduta che ha offerto sostegno, certezze e capacità di ideali.   Alcuni dei nostri artisti più grandi lo hanno fatto e lo fanno e dunque abbiamo aperto  una traccia suscettibile anche di futuri fecondi sviluppi, poiché il problema non tocca soltanto i sei, pur grandissimi, che abbiamo scelto.

Tuttavia molto presto la materia del lavoro ci è apparsa prima di tutto come fonte di una gioia e di un piacere della mente che nelle formule delle università antiche e medievali era, insieme alla morale, uno dei temi principali.  Forse un divertissement intellettuale, ma certo capace di porre in evidenza il ruolo fondamentale, nella crescita della persona, che potrebbero svolgere l’arte e l’archeologia, non eruditamente acquisite, ma empaticamente colte come momenti antropologici e spirituali di comune sentire e di appartenenza: se si ignora la propria appartenenza e identità infatti, ogni fecondo contatto con chi sia diverso da noi diventa impossibile, mentre di questo assolutamente necessita la società multiculturale in cui viviamo.

                                                                                         Donatella Taverna

 

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