Isidoro Cottino
curata da
fr. Alfredo Centra, Francesco De Caria, Donatella Taverna
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Formatosi in particolare ai corsi liberi di Filippo Scroppo, appassionato sin da ragazzo della pittura cinque e secentesca italiana e fiamminga, ebbe dimestichezza sin da giovanissimo col mondo dell'Arte di cui facevano parte il padre e il fratello - Angelo ed Ezio - in qualche modo legati alla visione romantica, sereno e bucolico l'uno, drammatico e notturno l'altro. Sempre attento all'aspetto tecnico della realizzazione dell'opera, è giunto ad un superamento dell'esito tradizionale, confermato in ciò dalla lezione di grandi artisti contemporanei, famosi per questo aspetto: egli ama citare in particolare Riccardo Licata, del quale ha frequentato i corsi a Venezia. Anche nelle opere in mostra si possono notare i risultati e gli effetti di tale sperimentazione, del resto già consolidata nel panorama novecentesco sin dagli inizi del secolo, eppure non ancora compresa completamente da tanta parte del pubblico nei suoi portati e forse non ancora sviluppata nella piena potenzialità espressiva: egli ricorre all'impressione di materiali eterogenei su materia molle, alla sovrapposizione, al collage, al colore direttamente premuto dal tubetto sulla superficie, ad altre tecniche che mantengono segreti da alchimista. Egli è attratto in particolare dall'effetto della tonalità di colori, che nella loro storia rimandano all'Ararat, all'India, alla Persia, all'antica Babilonia: nell'azzurro particolarmente intenso di certe campiture ci si può perdere con lo sguardo, ha un che di regale ed insieme di martirio la porpora, rimandano a regioni remote l'oro che talora appena balugina sulla supeficie materica di certi particolari. Il lapislazulo, ottenuto secondo antiche formule che impiegano la polvere azzurra della pietra frantumata, come nel mortaio degli alchimisti, rattiene in sé la storia di antichi altari distrutti, di cui l'Artista ha conservato frammenti. Le immagini, poi, evocano forme oniriche in cui si sublimano in pura bellezza aspetti della realtà quotidiana: il bosco diventa inquietante labirinto, come la chiocciola, che nel suo lentissimo crescere su se stessa rappresenta l'evoluzione dell'individuo, ordinata secondo una precisa architettura, non semplice agglomerato o agglutinazione. La Croce poi ha la tragica suggestione di un albero di nave nella tempesta, o la solennità irta del tutto è compiuto. Nelle opere si riflette con chiarezza il convincimento dell'Artista che, anche nelle espressioni tragiche, l'Arte è un bene necessario allo Spirito, un rimedio alla banalità e alla volgarità imperante, l'espressione della meditazione sull'esistenza peculiare dell'essere umano. In mostra sono esposti alcuni dei momenti più significativi del sofferto e insieme felice itinerario artistico, intellettuale, spirituale di Isidoro Cottino.
Francesco De Caria
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